Come motivare i dipendenti
I consigli di Studio Freccia in una nuova rubrica
Un’azienda, qualsiasi essa sia (piccola, media, grande) dovrà prima o poi fare i conti con i propri dipendenti.
No, non si tratta di un’affermazione provocatoria, né campata per aria, ma è semplicemente la presa di coscienza di un dato di fatto: le imprese di successo sono infatti quelle che impiegano al loro interno “dipendenti felici”.
Chi sono i dipendenti felici?
Sono dei lavoratori che possiedono senso di appartenenza, in cui la motivazione gioca un ruolo fondamentale nello svolgimento delle loro mansioni.
Più i dipendenti sono soddisfatti, più lavorano meglio, e di conseguenza l’azienda produrrà in maniera migliore e/o in quantitativo maggiore.
Semplice a dirsi ma molto complicato a farsi.
In qualità di consulente del lavoro con un’esperienza di tanti anni alle spalle, mi sento allora pronto a dare dei consigli a tutti gli imprenditori che abbiano a cuore la crescita della loro azienda.
Quest’ultima passa anche, anzi soprattutto, dalla motivazione dei dipendenti che vengono assunti.
Del resto Studio Freccia è attivo da più di trent’anni proprio nell’ambito della gestione del personale dipendente.
Un po' di numeri per capire di cosa stiamo parlando
Per dare un’idea più chiara di ciò di cui stiamo parlando citiamo qualche dato dal rapporto internazionale “State of the global workplace” (qui il link), stilato da Gallup nel 2019.
A livello globale si registra come l’85% dei lavoratori non avverta alcun senso di appartenenza all’azienda per cui lavora.
Per quanto concerne l’Italia, invece, nello studio si legge come solo un risicato 5% dei dipendenti percepisce di essere davvero coinvolto nei flussi comunicativi interni all’azienda.
Il senso di (non) appartenenza in azienda
Il senso di non appartenenza all’impresa per cui si lavora nel nostro Paese presenta inoltre la percentuale più alta tra tutte quelle registrate negli altri Paesi: ben il 30% dei lavoratori ammette di sperimentarlo.
Manca dunque quasi totalmente il coinvolgimento nella mission dell’impresa.
Se però mancano questi sentimenti viene meno nella persona anche la creatività necessaria per trovare nuove soluzioni e nella capacità di risolvere problemi, con il risultato che il titolare d’azienda si ritroverà con dipendenti non produttivi.
Questi numeri fanno davvero impressione e ci portano a questo punto a porci delle domande: perché accade tutto questo?
Perché manager, dirigenti d’azienda e più in generale i datori di lavoro non sono capaci di motivare al meglio i loro dipendenti?
Al via a una serie di articoli dedicati all'argomento
In questo articolo, perciò, analizzeremo al meglio questo argomento: ossia come motivare i dipendenti di un’azienda.
Parleremo di come aumentare la produttività dei lavoratori, dell’importanza dei meriti da elargire e dei “premi”, degli incentivi che passano anche attraverso il cosiddetto “gioco competitivo”.
Ci concentreremo poi sulle cause della motivazione e sul concedere autonomia, sull’importanza dell’azione del delegare, comune ad ogni buon leader e dell’approccio giusto da adottare in qualsiasi contesto.
Daremo anche spazio alla digitalizzazione del lavoro, e alla gestione dei social network, in correlazione all’utilizzo che ne fanno i dipendenti.
Svilupperemo inoltre tanti altri temi, tutti cruciali per chi possiede o dirige un’azienda ed ha a cuore le sue sorti.
Ad esempio il fatto di considerare i dipendenti sempre come esseri umani e mai come macchine, al servizio dell’azienda e basta.
Qui di seguito saranno forniti i principali input che ogni dirigente o titolare potrà applicare al singolo caso.
Applicando praticamente i contenuti disponibili settimanalmente la gestione del personale dipendente della tua azienda sarà un autentico successo!
Il primo aspetto che voglio toccare è quello relativo alla gratificazione dei dipendenti.
Riconoscere un buon lavoro svolto da chi lavora per noi, e premiarlo, è infatti un passo fondamentale per garantire una maggiore produttività del dipendente stesso.
Vediamo su cosa si basa questo atteggiamento e perché è importante applicarlo in azienda.
Una relazione emotiva...
Il riconoscimento instaura una relazione emotiva tra datore di lavoro e dipendente/impiegato
Molto spesso si tende a pensare che chi lavora in un’impresa, anche se piccola, si assuma il compito di portare avanti un buon lavoro.
Quest’ultimo, perciò, viene visto come un dovere minimo da parte del lavoratore.
Se razionalmente e in teoria questo concetto non è sbagliato, tuttavia occorre capire che non abbiamo a che fare con delle macchine né con dei robot, per i quali l’efficienza e la produttività vengono garantite indipendentemente dal benessere psicologico.
Le piccole aziende sono facilitate
In azienda si ha a che fare con degli esseri umani, infatti, ed ecco che le qualità empatiche di un buon dirigente faranno la differenza.
Non a caso le imprese di successo sono quelle che si basano su dipendenti felici di lavorare in quel determinato posto e solo in quello, in quanto si sentono valorizzati e premiati.
Le piccole e piccolissime aziende, in tal senso, sono facilitate, dal momento che spesso portano avanti una sorta di “modello familiare”: il capo si comporta perciò come una specie di padre o di “esperto anziano” che motiva i dipendenti, li sprona a fare meglio e li premia in caso di comportamento virtuoso.
In questo modo viene instaurata una relazione emotiva oltre che professionale, essenziale per la produttività.
Perché riconoscere e premiare un buon lavoro e come farlo
A questo punto forse ti starai chiedendo perché, come dirigente di azienda o come datore di lavoro, dovresti gratificare e riconoscere il lavoro dei tuoi dipendenti, e soprattutto, come farlo.
Sul perché, ti dico che è stato accertato in maniera matematica, da alcuni sondaggi, da statistiche serie e da studi sul rendimento economico delle aziende, che il riconoscimento del buon lavoro dei dipendenti consente di aumentare la qualità del rendimento quasi dell’80%.
Ci sono addirittura delle aziende che hanno puntato, per ottenere questi risultati, su una sorta di programmi a premi: si fissa cioè un traguardo e a quel traguardo viene attribuito un premio, che può essere un bonus, una particolare gratificazione, un incentivo, e così via.
Come riconoscere un merito ai propri dipendenti
Per quanto riguarda il come, invece, posso dirti che dipende molto dal rapporto che hai instaurato con i tuoi dipendenti e dal carattere dei dipendenti stessi.
Ci sono, ad esempio, dei manager che gratificano e lodano il lavoro di un loro dipendente in pubblico, di fronte ad altri colleghi o durante una riunione.
Questo atteggiamento viene utilizzato soprattutto per instaurare fenomeni di buona competizione tra i lavoratori.
In realtà ciò potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, in quanto potrebbe venire compromesso il sentimento di “squadra”.
Il mio consiglio è dunque quello di procedere ad una gratificazione privata, un elogio che potrebbe esplicitarsi in un colloquio faccia a faccia, oppure attraverso un’e-mail o, ancora meglio, un bigliettino scritto a mano e lasciato sulla postazione dello stesso dipendente.
In questo modo il lavoratore si sentirà riconosciuto come persona prima che come dipendente, e il suo grado di attaccamento all’azienda aumenterà.
Il dipendente felice
Finora abbiamo visto quanto sia fondamentale per un datore di lavoro motivare i suoi dipendenti e quanto risulti importante riconoscere sempre una mansione ben svolta: ciò al fine di ottenere costantemente migliori risultati ed un incremento della produttività.
Il concetto di lavoratore dipendente felice, con senso di appartenenza all’impresa per cui è impiegato, si traduce infatti in incremento di produttività per l’impresa stessa.
Oggi affrontiamo un altro aspetto che conduce alla motivazione: quello dei metodi per incrementare l’attaccamento del dipendente all’azienda e motivarlo.
In altre parole: sì ai premi e ai ringraziamenti, no all’indifferenza.
Esiste tuttavia una strategia che consenta di aumentare la competitività tra i dipendenti (e di conseguenza il fatturato aziendale) senza creare cattiva competizione?
Certamente sì, e passa attraverso la cosiddetta “gamification”: vediamo subito di cosa si tratta.
L'arte di competere attraverso il gioco
Il termine è inglese, certo, ma il concetto è molto semplice da applicare.
La “gamification” è infatti la capacità di trasformare in gioco (potremmo tradurre con “giochizzazione”) il lavoro dei dipendenti, sviluppando in loro un atteggiamento di sana competizione.
Un esempio potrebbe essere quello di introdurre un obiettivo da centrare, e fissare un premio qualsiasi al raggiungimento di quest’ultimo.
Il premio può essere un capo di abbigliamento (in un’azienda che si occupa di tessile), un certificato, una menzione pubblica di fronte a tutta la squadra (vale soprattutto in caso di presenza di più dipendenti), biglietti per spettacoli, concerti, eventi sportivi, o una giornata di formazione per la carriera, e così via.
I premi in denaro? Non sempre funzionano: ecco perché
A questo punto potresti obiettare: “perché non mettere in palio premi in denaro?”.
Beh, se è vero che il denaro è importante perché è alla base del mantenimento della persona e della sua dignità, come motivazione non sempre risulta così cruciale.
Occorre qui perciò effettuare un distinguo: i soldi costituiscono una forte leva a svolgere meglio un compito in azienda quando il reddito del dipendente è medio-basso.
Questo significa che in una piccola o media impresa, gli incentivi potrebbero consistere anche in bonus in busta paga, e darebbero i loro frutti.
Se però abbiamo a che fare con realtà imprenditoriali più grandi, in cui lavorano anche persone con un reddito medio-alto, l’incentivo del bonus in busta paga non ha più ragione di esistere. In questo caso bisognerà invece puntare su premi che coinvolgano il lato emozionale e relazionale.
Importante tenere sempre conto dell'individualità di ciascun dipendente
Sappiamo quanto la motivazione a svolgere un determinato lavoro possa venir meno se non ci si sente gratificati e se il lavoro viene percepito come fine a sé stesso, senza alcuna possibilità di sbocchi futuri e miglioramenti.
Magari ad alcuni piace la ripetitività di un lavoro e la sua staticità, mentre a personalità più creative ciò sta stretto.
Il datore di lavoro intelligente è allora quello che valorizza le caratteristiche migliori di ciascun dipendente, in una sorta di percorso individuale.
Un consiglio è quello di modulare gli obiettivi sul singolo lavoratore, secondo le sue competenze ed abilità.
Una volta stabiliti questi obiettivi da raggiungere (nel breve e nel lungo periodo) l’imprenditore potrà effettuare il punto della situazione mensilmente, magari con un incontro in cui il dipendente verrà messo in grado di esporre tutti gli step e gli avanzamenti del suo lavoro.
In questo modo la motivazione a conseguire il traguardo/premio non farà altro che aumentare la produttività del lavoratore e allo stesso tempo creare un senso di appartenenza molto utile a tutti.
Dipendenti e autonomia
Ora affrontiamo un tema piuttosto delicato, visto che i gestori di un’azienda – per quanto questa possa essere di piccole dimensioni – risultano spesso restii ad affrontarlo.
Parliamo dell’autonomia da concedere ai propri dipendenti, affinché la produttività aumenti invece che diminuire.
Quello che frena un dirigente d’azienda o un semplice datore di lavoro in tal senso è la percezione (falsa) che attribuire troppa autonomia al dipendente significhi perdere il controllo della situazione.
In realtà è proprio il contrario. E adesso ti spiego il perché.
I dipendenti autonomi sono quelli più felici e produttivi
Il fatto che i dipendenti a cui viene concessa più autonomia in azienda siano più soddisfatti e produttivi (di conseguenza anche maggiormente “fidelizzati” all’azienda stessa) non è un’affermazione campata in aria, ma il frutto di ricerche sociologiche ben precise.
In particolare, mettendo a paragone imprese in cui i dipendenti vengono gestiti nella tradizionale maniera gerarchica con imprese in cui il datore di lavoro concede una certa autonomia di azione si sono registrati risultati sorprendenti: le imprese in cui i dipendenti erano autonomi nei processi decisionali riguardo alle loro mansioni hanno infatti dimostrato una crescita di ben quattro volte superiore rispetto alle imprese in cui l’autonomia non veniva concessa.
I lavoratori inoltre avevano sviluppato un legame con l’azienda davvero notevole, tanto da non voler lasciare il posto di lavoro.
Ciò ci lascia concludere che dare fiducia significa porre le basi per una relazione duratura, in particolar modo negli affari.
Esercita la leadership e concedi la giusta autonomia
Molti dirigenti d’azienda, soprattutto quelli delle generazioni passate, sono stati formati pensando che esercitare autorità sui dipendenti possa generare più produttività e profitto.
Alla base di questo assunto ci sarebbe la concezione che se il lavoratore ha paura, cioè teme il “capo”, produce di più.
In realtà le cose stanno diversamente: la produttività di un dipendente ha a che fare invece con la leadership, quella capacità cioè di ispirare le persone e dare l’esempio, esercitando autorevolezza ma non autoritarismo (due concetti molto diversi).
In poche parole, occorre che il vero talento delle persone che lavorano per te venga liberato.
Se un dipendente è più bravo nell’organizzazione dei dati e un altro – d’altro canto – rende moltissimo nel contatto con il pubblico è necessario conferire loro incarichi adeguati insieme con la responsabilità del progetto loro assegnato.
Gestione autonoma di tempi ed obiettivi
A cosa conduce tutto questo?
Al fatto che i tuoi dipendenti dovranno loro stessi gestire tempi ed obiettivi, e poi portarne rendiconto a te che sei il capo.
Per gestione dei tempi intendiamo anche gli orari di lavoro: ad un dipendente potrebbe, ad esempio, essere assegnato un progetto particolare con una data di consegna finale, ma con una totale libertà sui tempi con cui raggiungerà i vari passi del progetto.
Ciò conferisce al dipendente un senso di controllo sul proprio tempo che porterà risultati soddisfacenti.
Se invece i risultati non arrivano, vuol dire che il dipendente non era giusto per quel tipo di mansione, e non che invece, pur adatto, si sentiva intimorito dal dimostrare i suoi veri talenti.
Insomma, un vero leader è interessato ai risultati e non alle regole con cui questi risultati vengono raggiunti.
Ricorda però che non bisogna esagerare nell’entusiasmo: occorre infatti fissare obiettivi chiari e un confronto netto e puntuale (magari attraverso riunioni periodiche sull’aggiornamento del work in progress) con il dipendente.
Molto importante infine la capacità di essere umili nell’ammettere che un tuo dipendente può saperne più di te su certi argomenti, e sfruttare questa capacità per la crescita dell’azienda.
È proprio in questi punti che si riconosce la leadership.
L'ascolto attivo
Finora abbiamo sempre seguito come filo conduttore il concetto secondo cui un dipendente è un capitale importante, forse il più importante dell’azienda, in quanto capitale umano: va quindi curato con estrema attenzione.
Anche perché un dipendente (o un collaboratore) che poi ci lascia perché non siamo stati attenti alle sue esigenze (spesso umane, e non necessariamente solo economiche), ci costa molto di più.
Abbiamo quindi valutato e preso in considerazione alcune possibili strategie su come incentivare la motivazione di chi lavora per noi.
Oggi chiudiamo l’argomento “motivazione del personale”, aggiungendo un ultimo ma importantissimo tassello: l’ascolto.
Sai infatti cosa spinge i tuoi dipendenti ad essere motivati sul lavoro?
Beh, è una cosa che dovresti conoscere, soprattutto imparando l’ascolto attivo. Ecco come!
Prima nozione fondamentale: i dipendenti sono persone, ognuna diversa dall'altra
La prima cosa di cui devi prendere consapevolezza può sembrarti scontata ma non lo è: i tuoi dipendenti, anche se gestisci una piccola realtà, vanno valutati singolarmente perché sono tutti diversi gli uni dagli altri.
Caratteri diversi + indole diversa = interessi diversi.
Questo assunto è alla base di ciò che può determinare le cause della motivazione al lavoro.
Una personalità indipendente, ad esempio, non può essere messa sulla stessa linea di un’altra bisognosa di una guida costante o di sicurezza.
Così come con alcuni dipendenti più competitivi non potrai utilizzare le stesse strategie di approccio che utilizzi con le persone emotivamente statiche.
Come fare per capirlo? Ascoltando.
In cosa consiste l'ascolto attivo: allineare gli obiettivi personali a quelli professionali
Se di primo approccio suona come strano, in realtà abbiamo a che fare con qualcosa di molto concreto: l’ascolto attivo, cioè, passa dal saper domandare.
Se comincerai a fare molte domande, realmente interessate alla condizione e alla personalità dei tuoi dipendenti, scoprirai moltissimo sulla loro vita e su ciò che potrebbe motivarli in azienda.
In questo modo potrai raggiungere un importante risultato: allineare i loro obiettivi personali a quelli professionali.
Ciò si tramuta in un triplo vantaggio: per loro, perché lavoreranno meglio e con più entusiasmo ed aumenteranno la loro fiducia in te; per te (così potrai gestire più agevolmente gli altri aspetti della tua azienda e migliorarne l’organizzazione); e per l’azienda stessa, che vedrà aumentare la produttività.
Ora ti starai chiedendo come fare praticamente: bene, ti do qualche dritta.
- Fai dei colloqui personali con ciascun tuo dipendente: chiacchiera per una mezz’ora con loro, singolarmente. Ciò deve avvenire in maniera naturale, senza che il dipendente si senta sotto esame.
- Chiedi ad ognuno di loro non solo come sta andando il lavoro, ma anche quali sono i suoi hobbies, cosa fa nel tempo libero, quanti figli ha se ne ha, e così via.
- Utilizza pure i social network: questi strumenti sono molto utili per capire chi sono le persone che lavorano per te e quali sono le loro passioni fuori dall’ambiente lavorativo.
Rendi il tuo dipendente responsabile del lavoro che svolge
Ascoltando in maniera attiva le persone che lavorano per te le renderai anche più responsabili del lavoro che svolgono, perché saranno messe al corrente dei costanti cambiamenti e si renderanno conto di quanto il loro singolo lavoro può avere un’influenza enorme sull’andamento dell’azienda stessa.
Tenta un esperimento: prova a chiedere ad ogni singolo dipendente PER QUALI MOTIVI egli svolga un certo lavoro.
Le risposte ti sorprenderanno, e ti apriranno nuovi mondi sulla gestione aziendale.
Capendo infatti cosa motiva ogni tuo dipendente, potrai avere chiari anche i compiti da assegnare ad uno piuttosto che ad un altro, per far sì che vengano svolti nel migliore dei modi.