Buoni pasto aziendali
Quali sono le regole per erogarli e per utilizzarli?
Oggi introduco un argomento c mai affrontato nel nostro blog: quello dei buoni pasto.
Le scorse settimane, quando abbiamo parlato di welfare aziendale, abbiamo citato anche questo tipo di benefit, che può essere elargito dal datore di lavoro al dipendente in determinati contesti.
Ma quali sono le regole per elargire i buoni pasto e per utilizzarli (e farli utilizzare) al meglio?
Te lo spiego in questo articolo.
Cosa sono i buoni pasto e a chi sono destinati
I buoni pasto sono dei buoni o coupon che possono essere utilizzati per la pausa pranzo, spendibili in ristoranti, tavole calde, mense convenzionate nella zona in cui si trova l’ufficio.
In alternativa i buoni pasto possono essere riconvertiti in buoni per fare la spesa di tipo alimentare, e pagare con essi (al posto dei contanti o carta) alle casse.
I buoni pasto possono essere beni standard oppure rientrare tra i benefit previsti dai servizi di welfare aziendale: sono destinati ai lavoratori assunti a tempo indeterminato, siano essi in full time che a part time.
Quando e come viene maturato un buono pasto
La determinazione e le regole di assegnazione dei buoni pasto vengono regolate in sede di contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL).
Normalmente essi spettano a tutti i dipendenti assunti a tempo indeterminato che lavorano almeno sei ore al giorno.
In alternativa i lavoratori dovranno maturare almeno tre ore di straordinario dopo la ripresa lavorativa.
Spettano pertanto in larga parte ai lavoratori full time.
I dipendenti part time che possono usufruirne dovranno avere un orario di lavoro che coincida con la pausa pranzo, oppure dimostrare di abitare lontano e di non riuscire a raggiungere casa e tornare in tempo durante la stessa pausa (Cassazione, sentenza numero 22702 del 2014).
Recentemente un decreto del ministero dello Sviluppo Economico (il 122 del 2017) ha stabilito che i buoni pasto possano essere maturati anche da lavoratori subordinati che abbiano un contratto di collaborazione continuativa con l’azienda.
Se non previsti dai Contratti Nazionali per il Lavoro possono essere considerati fringe benefit
Nei casi in cui il Contratto Nazionale Collettivo non preveda l’erogazione di buoni pasto al dipendente le aziende e il datore di lavoro non hanno alcun obbligo di fornirli.
In caso contrario costituiscono dei fringe benefit, concessi appositamente dal datore di lavoro in un contesto di welfare aziendale.
Ad ogni modo, i buoni pasto costituiscono comunque un incentivo per aumentare la soddisfazione dei lavoratori e l’attaccamento all’azienda.
Le alternative ai buoni pasto possono essere: l’utilizzo della mensa aziendale, una mensa convenzionata oppure un’indennità che va a sostituire l’utilizzo della mensa.
Buoni pasto cartacei ed elettronici: quali sono le differenze
Il mercato dei buoni pasto è piuttosto fiorente e ad oggi vale circa 3 miliardi di euro.
Il 40% di essi viene elargito a lavoratori pubblici, mentre ci sono anche 120 mila attività commerciali circa che ne usufruiscono, accettando cioè questa forma di pagamento invece del denaro.
I buoni pasto possono essere sia cartacei che elettronici.
Le differenze tra le due tipologie sono solo nella forma, in quanto l’obiettivo di entrambi è lo stesso.
I buoni pasto cartacei sono dei tagliandi simili a dei coupon messi in un blocchetto e consegnato ai dipendenti aziendali ogni inizio mese.
Di solito hanno un valore di 4 euro al giorno, e sono esentasse.
I buoni pasto elettronici, invece, valgono 8 euro al giorno e vengono caricati su una carta magnetica, leggibile dai Pos degli esercenti.
Esentasse solo per alcune tipologie, cambiamenti dal 2020
Sia che li si elargisca in maniera tradizionale (con blocchetti cartacei) oppure elettronica (ticket del valore di 7 euro ognuno su card ricaricabile) i buoni pasto restano sempre esentasse per il dipendente.
Va da sé che non possono essere ceduti dal lavoratore ad altre persone né convertiti in denaro (contante o assegni).
Inoltre non possono essere usati oltre gli 8 in una volta sola.
La novità introdotta lo scorso anno sui buoni pasto poi, li vede defiscalizzati per un importo fino a 4 euro per quelli a blocchetti, mentre per i buoni elettronici si arriva ad 8 euro.
Questo ha significato però un cambiamento non sempre positivo per le aziende e i piccoli imprenditori.
Riducendo infatti la soglia di deducibilità fino a 4 euro infatti (manovra della Legge di bilancio per scoraggiare l’uso del cartaceo) significa che oltre quella soglia l’azienda è tenuta a pagare il resto come reddito da lavoro dipendente.
Il buono elettronico arriva invece ad 8 euro, ed ecco perché in questo modo viene incentivato il suo utilizzo.
Le azioni governative mirano pertanto a portare ad una completa sostituzione del buono cartaceo.
Esistono tuttavia delle tipologie di buoni pasto che consentono un risparmio fiscale perché interamente deducibili.
L'altra faccia della medaglia e le alternative
Un’alternativa ai buoni pasto e alla mensa aziendale potrebbe essere quella della “mensa diffusa”.
Si tratta di un servizio digitale, che funziona tramite app, con la quale il lavoratore dipendente può ordinare e pagare il pasto, senza alcun costo aggiuntivo per le aziende.
L’Agenzia delle Entrate si è espressa anche in merito a questa modalità di elargizione dei buoni pasto, dando dei chiarimenti sulle imposte da pagare in merito.
Ecco che ai fini Irpef questo tipo di buoni pasto via App mobile non concorre a formare reddito (Tuir art. 51, comma 2).
Per quanto riguarda invece l’Ires, va sottolineato come non ci siano limitazioni di deducibilità, soprattutto a causa dei costi sostenuti proprio dal datore di lavoro.
Va detto, a onor del vero, che ad ogni modo l’Iva al 4% per le aziende sui ticket pasto “classici” è completamente detraibile.
In pratica sia un lavoratore a partita Iva, sia un imprenditore o i suoi soci possono detrarre l’Iva sui buoni pasto elettronici al 10% (pari al 2% del fatturato).
Nessun tipo di detrazione invece è prevista per le aziende che continueranno ad avvalersi dei ticket a blocchetti cartacei.
E se i buoni pasto sono scaduti? Ecco come procedere
Che fare quando i buoni pasto sono scaduti? Può accadere sia con quelli cartacei che con quelli elettronici.
In questo caso occorre sottolineare che molto spesso non possono essere recuperati.
Un passaggio però lo si può effettuare controllando il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro a cui l’azienda ha aderito e gli accordi che come imprenditore hai stipulato con le società che emettono i buoni pasto.
I periodi di riposo e di allattamento sono equiparabili alle ore lavorative
Cominciamo col dire che sia le lavoratrici madri che i lavoratori padri i quali, potendolo fare, usufruiscono dei cosiddetti periodi di riposo (sanciti dal Decreto Legislativo 151 del 2001, ex articolo 39) o dei permessi per allattamento, hanno il diritto di equiparare questi periodi a vere e proprie ore lavorative.
Ciò non cambia dunque nulla né agli effetti della retribuzione né nella fruizione dei buoni pasto.
A chiarirlo è la stessa Agenzia delle Entrate, che spiega come le ore spese per riposo o allattamento possono valere nel conteggio per accedere alla fruizione dei buoni pasto.
Bisogna poi esaminare le condizioni previste dal rispettivo Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro (CCNL).
Cosa prevedono in proposito i CCNL
Ricordiamo in questa parentesi cosa prevedono i Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro per l’utilizzo dei buoni pasto.
L’accesso a questo beneficio viene consentito quando il lavoratore svolge una giornata lavorativa di almeno 6 ore al giorno.
A ciò va aggiunta una pausa pranzo non più breve di 30 minuti, con ripresa del lavoro successivamente.
Senza l’esistenza della pausa pranzo, infatti, i buoni pasto non hanno alcuna ragione di esistere, quando non è previsto un servizio mensa dall’azienda.
Se dunque si lavora per meno di sei ore al giorno, o si lavora fino all’ora di pranzo per poi tornare a casa e non rientrare più in ufficio, allora i buoni pasto non possono essere maturati né utilizzati.
E per il congedo di maternità cosa accade?
Fin qui abbiamo capito qual è lo stato dell’arte per quanto riguarda i lavoratori in periodo di riposo o allattamento.
Cosa accade invece alle lavoratrici che sono in periodo di maternità?
Sia nel congedo di maternità obbligatorio che in quello di maternità anticipata la lavoratrice ha diritto ai buoni pasto, perché anche in questo caso tali periodi valgono come ore lavorative a tutti gli effetti.
È bene chiarire, a questo punto, che non bisogna fare confusione tra questo tipo di congedi e il congedo parentale, che invece non dà diritto alla fruizione dei buoni pasto.
La normativa più recente
Oltre a quanto stabilito già dei Decreti Legislativi degli anni passati e nel chiarimento di una circolare dell’Agenzia delle Entrate pubblicata nel 2013 con le istruzioni sui buoni pasto, la normativa più recente può rifarsi ad un interpello del ministero del Lavoro (il n.2 del 2019) con il quale vengono chiariti altri punti.
L’interpello chiarisce come “ la pausa pranzo colloca la lavoratrice fisicamente sul posto di lavoro, viene infatti definita come un “intervallo” diviso nell’orario di lavoro.
L’interpello, inoltre, recepisce le indicazioni del Dipartimento della Funzione Pubblica che, con nota del 10 ottobre 2012 (n. 40527), aveva già fornito risposta all’ISTAT e all’ARAN evidenziando che “il diritto al buono pasto sorge per il dipendente solo nell’ipotesi di attività lavorativa effettiva dopo la pausa stessa”.
La domanda di Chiara, imprenditrice
Una nostra lettrice, Chiara, piccola imprenditrice, non ha avuto bisogno di tenere i suoi dipendenti in smartworking durante il periodo della pandemia da Covid 19.
Ci chiede però se, in caso di lavoro a distanza, i lavoratori hanno comunque diritto a usare i buoni pasto.
La nostra risposta: nessun obbligo, l'azienda è libera di decidere
A Chiara, e a tutti gli imprenditori che ci pongono la stessa domanda, rispondiamo che non hanno nessun obbligo nell’emissione dei buoni pasto ai lavoratori in smartworking.
Ogni azienda infatti è libera nella decisione in un senso o nell’altro.
Questa è almeno la regola riportata dall’approfondimento dei Consulenti del Lavoro del 25 febbraio 2021.
Va però detto che l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata in maniera favorevole riguardo a questa possibilità (con un chiarimento di risposta ad un interpello, n.956-2631/2020).
Ciò è stato determinato dalla sempre maggiore diffusione della modalità di lavoro in smartworking (lavoro agile e a distanza).
I ticket, pertanto, restano all’interno della solita normativa di esenzioni fiscali per il datore di lavoro, anche se il dipendente lavora in remoto.
Cosa dice il Fisco in proposito?
Anche il Fisco si esprime sull’argomento, con un interpello (nello specifico si tratta della risposta 956 del 2021).
In sintesi in esso vengono riconosciute le esenzioni già previste di solito, e però si specifica che non sussistono obblighi di erogazione, neppure previste dalle normative anti Covid.
Attenzione al contratto di lavoro nazionale!
Se infatti in quest’ultimo viene prevista in ogni caso l’erogazione dei buoni pasto, allora il datore di lavoro è tenuto per legge a concederli.
In caso contrario, può non farlo.
Ricordiamo l'ordinamento italiano cosa prevede
Cogliamo l’occasione anche per ricordare cosa prevede l’ordinamento italiano in materia buoni pasto.
Quest’ultimo argomento viene disciplinato dalla normativa sull’appalto.
Il Decreto Legislativo n.50 del 2016, all’articolo 144 (comma 3) dà ad esempio una definizione di buoni pasto: “attività finalizzata a rendere per il tramite di esercizi convenzionati il servizio sostitutivo di mensa aziendale”.
L’emissione di questi buoni viene invece normata dal decreto 122 del 7 giugno 2017, emesso dal ministero dello Sviluppo Economico, e anche qui viene ribadita l’assoluta esenzione da obblighi per il datore di lavoro nell’elargizione.
Possiamo quindi concludere che la giurisprudenza italiana equipara i buoni pasto a delle agevolazioni di tipo assistenziale, e quindi fuori dal trattamento retributivo.
Proprio per questo motivo e non per altri (come recentemente si è espressa anche la Suprema Corte) questo benefit può essere regolamentato e infine elargito esclusivamente dal datore di lavoro, con le eccezioni dei casi previsti dai Contratti Nazionali Collettivi (come abbiamo specificato prima).
A questo proposito lo scorso 1 marzo vi è stato un accordo tra la Confederazione Italiana delle Federazioni Autonome (CIFA) con la Confederazione Generale dei Sindacati Lavoratori Autonomi (CONFSAL) proprio per fissare le regole sullo smartworking e il ricorso ai buoni pasto.