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Tutelati con il Patto di stabilità

Venerdì 10 settembre 2021

Con il mese di settembre ci avviamo a trattare un nuovo tema, molto interessante: il contratto (o patto) di stabilità stipulato nel lavoro subordinato tra lavoratore dipendente e datore di lavoro.

Probabilmente ne avrai sentito parlare, ma sai in quali casi va utilizzato e in che modo poterne usufruire per tutelare anche i tuoi interessi di imprenditore?

Te lo spieghiamo in questo e nei prossimi articoli del nostro blog.

Cos'è il contratto di stabilità nel lavoro subordinato

Il contratto di stabilità o patto di stabilità (ma a volte anche chiamato “patto di permanenza” o “clausola di fidelizzazione” o ancora “clausola di durata minima”) nel lavoro subordinato ha ragione di esistere solo ed esclusivamente in caso di sottoscrizione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

I lavoratori a termine, infatti, non possono usufruirne.

Si tratta, in pratica, di una sorta di promessa scritta e vincolata in cui le due parti si impegnano a non venir meno al contratto per un determinato lasso di tempo.

In questo modo l’imprenditore avrà la sicurezza che il lavoratore assunto non venga meno all’impegno in un certo periodo, e il lavoratore sarà certo di non poter essere licenziato in quello stesso periodo.

Un recesso, pertanto, non è consentito da entrambe le parti, a meno che non subentri una giusta causa.

In caso contrario bisognerà provvedere al risarcimento del danno.

Non è necessaria la forma scritta e può essere impostato anche in maniera unilaterale

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, un patto di stabilità nel lavoro subordinato non deve essere necessariamente contenuto all’interno del contratto.

Può altresì essere stipulato a parte, oppure sancito come oggetto di un accordo informale.

Il consiglio, comunque, è quello di farlo rientrare in un’apposita postilla, in cui si concorda (da parte di entrambi i soggetti) la durata minima del rapporto lavorativo.

Va detto poi che tale postilla può essere impostata non solo con impegno bilaterale, ma anche tenendo conto di una sola parte: il lavoratore o il datore di lavoro.

L’impegno, in questo caso, sarà unilaterale.

Cosa succede nell’uno o nell’altro caso? Se l’impegno viene preso dal datore di lavoro verso il dipendente la parte meno forte nel contratto sarà ovviamente meglio garantita.

Viceversa, nella circostanza in cui è solo il lavoratore a prendere l’impegno verso il proprietario dell’azienda/imprenditore, siamo nella delicata zona della rinuncia del lavoratore ad un diritto.

Ecco dunque che per controbilanciare quest’impegno la remunerazione dovrà essere più alta rispetto al consueto stipendio o paga.

Quando si ricorre alla clausola di stabilità in un lavoro dipendente

In quali circostanze, allora, si sceglie di apportare tale postilla ad un contratto di lavoro e di optare per una clausola di stabilità?

Ciò accade soprattutto quando ad un datore di lavoro serve un dipendente altamente specializzato, una figura professionale specifica e spesso neppure facile da trovare sul mercato lavorativo.

Se perciò hai, come imprenditore, la certezza che quello specifico lavoratore sia molto ricercato e che potrebbe accettare facilmente un’altra offerta, con questo tipo di clausola ti garantisci il suo impegno fino al termine del progetto che ti sta a cuore.

Pagando, ovviamente, una cifra un po’ più alta in termini economici, ma non certo in termini di ricevimento di servizi.

Con un impegno bilaterale invece, entrambe le parti vengono messe al sicuro, per la durata del lavoro che deve essere svolto e portato a termine.

Abbiamo introdotto il discorso sul patto di stabilità nel lavoro subordinato, clausola prevista per far sì che un lavoratore non abbandoni prematuramente un posto di lavoro in favore di altre offerte e che tutela quindi il titolare d’azienda.

Sì, perché possiamo dircelo francamente: è un tantino seccante assumere e formare un dipendente (con gli alti costi che ne derivano) che poi, dopo pochissimo tempo, se ne va, rassegnando le sue dimissioni.

Il patto di stabilità rappresenta perciò uno strumento molto utile.

Ora, in tanti chiedete se è possibile recedere da questo patto (o contratto) di stabilità per giusta causa.

E se sì in quali casi ciò viene consentito dalla legge?

Vediamolo insieme. 

Due le situazioni in cui è possibile recedere da questo tipo di impegno

Cominciamo con il rispondere subito alla domanda: sì, è possibile recedere in modo legittimo da un contratto di stabilità in un lavoro di tipo subordinato, prima della scadenza della clausola stabilita, ma solo in due casi.

  • Il primo caso prevede che sia implicata la “giusta causa”: si tratta di quelle situazioni in cui il dipendente può dimettersi da un impiego da un momento all’altro o, di contro, tu come datore di lavoro puoi licenziarlo senza dare troppe spiegazioni.
  • Il secondo caso ha a che fare invece con l’impossibilità di portare a termine il lavoro concordato. I motivi dovranno essere oggettivi e non attinenti alla soggettività del dipendente o del titolare dell’azienda che lo ha assunto. Un esempio potrebbe essere quello del lavoratore che non si è dimostrato adatto alle mansioni da svolgere, e che non ha soddisfatto i requisiti richiesti.

Quando si esce da questi due casi o situazioni, e una delle due parti non ha rispettato le clausole all’interno del patto di stabilità, si può dar luogo ad eventi risarcitori: ciò significa che può essere presentata una domanda di risarcimento.

Risarcimento: come si quantifica il danno subìto? Dipende dalla parte

Prima di passare a vedere in quali casi si deve procedere a chiedere un risarcimento chiariamo che ciò può essere prevenuto se entrambe le parti (datore di lavoro e dipendente) al momento della firma del patto di stabilità prevedono una penale contrattuale.

In pratica ci riferiamo ad una somma di denaro che una o l’altra parte dovrà versare nel caso in cui si recede dal rapporto di lavoro prematuramente senza una giusta causa.

E se la penale non è stata prevista? Allora occorre quantificare il danno.

E qui occorre distinguere su chi è il soggetto che ha messo in atto la recessione. Se infatti si tratta del datore di lavoro il danno può essere più facilmente quantificato, dal momento che al lavoratore deve essere versato un importo pari alla retribuzione dovuta fino alla data di scadenza del contratto di stabilità.

Il danno, perciò, è uguale alla perdita retributiva, cioè del compenso.

Fermo restando il fatto che va messa in conto la possibilità che il dipendente possa impugnare il licenziamento avvenuto non per giusta causa.

E se a recedere è il dipendente?

Se, al contrario, è il dipendente a recedere dal contratto prematuramente, allora il datore di lavoro dovrà calcolare il danno subìto da questo gesto.

Il calcolo di questi danni non è certamente semplice.

Un esempio potrebbe essere quello di richiedere il risarcimento delle spese di formazione affrontate dall’azienda.

Consigliamo comunque vivamente in questi casi di prevedere sempre una penale contrattuale.

Riassumendo, finora abbiamo introdotto l’argomento del Patto o contratto di Stabilità per il lavoro subordinato.

Abbiamo visto a cosa serve, quando è opportuno utilizzarlo, quali sono le parti coinvolte e in quali casi si può procedere ad un recesso.

Il recesso, però, quando non viene giustamente motivato e se non compreso nel contratto, può dar luogo a dei risarcimenti, sia dalla parte del lavoratore che da quella dell’imprenditore o datore di lavoro.

Cerchiamo di capire praticamente in quali casi ciò si verifica, e quali sono le situazioni operative, con e senza conseguenze giuridiche di questi fatti.

Situazioni operative e conseguenze giuridiche in fatto di risarcimenti

Quando tutto funziona per il meglio e non ci sono problemi in questo tipo di contratto, la situazione che si presenta è più o meno la seguente:

“Mario Rossi viene assunto da una certa azienda a partire dal 1 marzo 2020 a tempo indeterminato e c’è una clausola di stabilità fino al 1 luglio 2020. Questo vuol dire che  fino a quello specifico giorno, il signor Rossi non potrà rassegnare le proprie dimissioni e l’azienda non potrà licenziarlo”.

Quando ciò non avviene, e si verifica un recesso, compaiono invece diversi scenari.

La forma dell’elenco, per parlare di questo aspetto del problema, ci sembra la più utile e schematica per farti capire come agire e darti subito il quadro chiaro della situazione.

  • Una prima situazione operativa, la più grave, potrebbe essere quella in cui il lavoratore recede dal contratto o patto di stabilità durante il periodo di garanzia e SENZA dare il preavviso. In questi casi si procede con l’erogazione del risarcimento del danno subìto e in più come datore di lavoro ti spetta anche un’indennità di mancato preavviso.
  • Una seconda situazione potrebbe invece contemplare il recesso del lavoratore dal contratto durante il periodo di garanzia, ma CON IL PREAVVISO. In questi casi scatta comunque l’erogazione del risarcimento al datore di lavoro, ma non compare l’indennità, proprio perché il preavviso è stato dato.
  • Un altro scenario cambia per quanto riguarda la tempistica. Prevede infatti che il lavoratore vada via senza preavviso, ma alla fine del periodo di garanzia. Qui a te datore di lavoro non tocca il risarcimento, perché il periodo lavorativo del dipendente è terminato, ma ti spetta comunque l’indennità per il mancato preavviso.
  • Ultimo caso contemplato in questo tipo di rapporto di lavoro, infine, è quello in cui il lavoratore si comporta correttamente: recede cioè dal contratto al termine del periodo di garanzia dandone anche preavviso. Se la situazione sta così non ti tocca come datore di lavoro nessun tipo di risrcimento né indennità.

Patto di stabilità nel lavoro subordinato: quanto deve durare

Per quanto riguarda la durata di questo particolare tipo di contratto, va detto che in Italia non esiste un ordinamento o una legge che fissi i limiti temporali di questo accordo tra datore di lavoro e dipendente.

Va fatto notare però che la legge italiana sul lavoro non ammette vincoli senza una fine.

Per cui, un patto di stabilità a tempo indeterminato non solo non esiste, ma sarebbe anche totalmente illegittimo se esistesse. Questo perché la libertà contrattuale, in certi contesti, non può essere limitata.

Quanto deve durare allora un contratto di stabilità tra lavoratore e datore di lavoro che ha bisogno di un professionista competente?

La durata va stabilita in proporzione al tipo di lavoro che deve essere portato a termine.

Dovrà perciò risultare congrua a tutte le caratteristiche di uno specifico rapporto di lavoro o progetto.