All’inizio della mia carriera, ero il capo che tutti sognano.
La mia porta era sempre aperta. Letteralmente.
Ero “uno di loro”. Pranzi di squadra, aperitivi, battute da spogliatoio.
Conoscevo i loro problemi, le loro speranze, i nomi dei loro cani.
Ero fiero di quella vicinanza. La consideravo il mio superpotere.
Poi è arrivato il giorno in cui ho dovuto prendere una decisione. Una di quelle vere.
Dolorosa ma necessaria per la sopravvivenza dell’azienda.
Si trattava di tagliare un servizio che tutti amavano, ma che perdeva soldi e ci stava trascinando a fondo.
L’ho comunicato e mi sono trovato di fronte a un muro di silenzio. I miei “amici” mi guardavano come un traditore. Le pacche sulle spalle erano diventate sguardi di ghiaccio. Gli aperitivi, un lontano ricordo.
Quella sera, da solo nel mio ufficio, ho capito la lezione più dura del comando: avevo cercato così tanto di essere loro amico che avevo dimenticato di essere il loro leader.
E nel tentativo di piacere a tutti, stavo per far affondare la nave con tutti a bordo. Non ero un comandante. Ero solo il più popolare dell’equipaggio. E questo non serve a nessuno.
Il tuo lavoro non è essere amato. Il tuo lavoro è portare risultati.
Il tuo dovere non è cercare il consenso. È prendere la decisione giusta, anche se è la più impopolare.
Confondere l’amicizia con la leadership è un lusso che un vero comandante non può permettersi. È un atto di egoismo, non di generosità. Cerchi la loro approvazione per far stare bene te, non per proteggere il loro futuro.
Il ponte di comando di una nave è un posto solitario.
Se lo trovi affollato, significa che la nave sta andando dritta contro gli scogli.
Paola, titolare di una piccola agenzia creativa nel padovano.
Un team di 5 persone, un’atmosfera da “famiglia”. Tutti si adoravano.
Peccato che l’azienda non crescesse da tre anni.
Paola evitava ogni decisione scomoda per non “turbare l’armonia”.
Continuava a offrire servizi a bassa marginalità solo perché “a Fede piace fare quel lavoro”. Rimandava le critiche per non demotivare.
Il nostro lavoro insieme non si è concentrato su nuove strategie di marketing.
Si è concentrato su una cosa: la sua solitudine.
L’ho costretta a prendere una decisione strategica importante — tagliare quel servizio a bassa marginalità — senza consultare nessuno.
Da sola. Nel suo ufficio. A porte chiuse.
Quando l’ha comunicata, c’è stato malumore. Ovvio.
Ma Paola ha tenuto la posizione. Ha spiegato il “perché” aziendale, non ha chiesto scusa per la sua scelta.
Risultato? Dopo due mesi di tensioni, l’aria è cambiata.
Il team ha liberato tempo per concentrarsi su progetti più profittevoli, il fatturato è cresciuto e, cosa più importante, i suoi talenti migliori hanno iniziato a rispettarla di più.
Aveva smesso di essere la loro amica. Era diventata il loro comandante.
La solitudine è il prezzo che paghi per la chiarezza.
Smettila di mendicare l’approvazione della tua squadra e inizia a meritare la loro fiducia.
L’approvazione si basa sulle emozioni di oggi e svanisce al primo vento contrario.
La fiducia si costruisce con la sicurezza dei risultati di domani.
È un esercizio di solitudine. Ed è l’allenamento più importante che farai questa settimana.
In posizione! 🌿🤚🌿
P.S.: Come sempre, la Lettera del Caesar della prossima settimana contiene un vantaggio competitivo.
O lo prendi tu, o lo regali al tuo concorrente.
A te la scelta. 😏
Copyright ® Studio Freccia 2025 | Studio Freccia è di proprietà intellettuale di Studio Freccia srl stp | Via F. Busonera 24 – 35031 Abano Terme (PD)
P. IVA e C.F. 02161300286
Non puoi copiare il contenuto di questa pagina