Il periodo di prova

Cos'è e come funziona

Venerdì 19 febbraio 2021

Oggi parlerò di un nuovo argomento, che sta molto a cuore agli imprenditori e in generale ai datori di lavoro: il periodo di prova dell’eventuale neo-assunto.

Da quello che sento parlando con tantissimi imprenditori, si tratta dell’unico periodo davvero indicativo sulla personalità del lavoratore, sulle sue capacità e sulle sue attitudini prima dell’assunzione.

D’altro canto, il messo in prova potrà constatare se l’azienda in cui sta svolgendo il suo periodo pre-assunzione possa fare al caso suo.

Vediamo allora nel dettaglio come funziona il periodo di prova di un lavoratore e quando può essere utilizzato.

A cosa serve e in quali casi si applica il patto di prova

Il periodo di prova per un neo-assunto viene anche chiamato patto di prova e si svolge prima di confermare l’assunzione.

Con questo strumento, in qualità di datore di lavoro, potrai valutare quanto il candidato che hai scelto possa essere idoneo alle mansioni richieste dalla tua azienda.

Può essere applicato in ogni tipo di rapporto di lavoro subordinato: vale quindi sia che stiamo parlando di un tempo determinato, sia di un rapporto di apprendistato o inserimento.

Ma non sono solo questi i casi in cui un lavoratore può essere sottoposto al periodo di prova: è il caso di certi professionisti (come alcuni tipi di dirigenti o giornalisti) che devono essere testati per capire se sono in linea con la mission aziendale, oppure di domestici o lavoratori appartenenti alle categorie protette, all’interno delle quote di riserva per le assunzioni da collocamento.

Qual è la sua durata: prolungamento o accorciamento dei tempi previsti

Quanto dura un periodo di prova?

Vediamo cosa dice la Legge: già negli anni ’20 del Novecento veniva prevista questa possibilità, tanto che è rimasto in vigore un articolo del Regio Decreto Legislativo (il n. 1825 del 1924) il quale stabilisce in tre mesi il limite massimo del patto di prova di un impiegato, purché non abbia funzioni direttive.

Il limite fu poi esteso a sei mesi per tutti i lavoratori (Legge 604 del 1966).

Ci sono però molte differenze tra lavoratore e lavoratore (un conto è il periodo di prova per un operaio e un conto quello di un impiegato o un dirigente): in questi casi occorre valutare i contratti collettivi di lavoro nazionali per ciascuna categoria di lavoratori.

Può così capitare che il periodo di prova venga molto spesso accorciato rispetto al tempo stabilito all’inizio, in sede di colloquio, o (ma è più raro) allungato.

Generalmente più si allunga il periodo di prova più si tratta di un lavoro complesso e delicato e maggiore sarà la probabilità di licenziamento.

Va detto comunque che come datore di lavoro non puoi assolutamente prorogare il periodo di prova OLTRE il limite previsto dalla legge, altrimenti potresti incappare in qualche vertenza.

Quando può essere prevista la sospensione

Un periodo di prova di lavoro può anche essere soggetto a sospensione, in alcuni casi specifici.

Pertanto, tutti i giorni non lavorati a causa di malattia, infortunio o gravidanza non possono essere conteggiati, per legge, all’interno del patto di prova. Diverso è il discorso per i giorni non lavorati a causa di ferie godute, riposo settimanale o chiusure periodiche dell’attività o impresa: in questo caso si tratta di lassi di tempo che fanno parte a tutti gli effetti del percorso lavorativo.

Il patto di prova va siglato insieme con il contratto, non dopo

La prima cosa importante che va messa subito in chiaro è che il periodo di prova deve essere siglato in sede di firma di contratto da parte del lavoratore.

Al massimo la Giurisprudenza prevede che si possa farlo prima.

Se lo si fa dopo, invece, il periodo di prova non avrà alcun senso, in quanto il lavoratore sarà già considerato assunto a tutti gli effetti.

Un altro aspetto che va considerato è la sottoscrizione da entrambe le parti del periodo di prova: se manca la firma dell’imprenditore o di chi sta per essere assunto allora il periodo di prova non avrà alcun valore e il contratto sarà considerato come definitivo nell’assunzione.

Cosa deve essere scritto nella clausula del contratto

Il periodo di prova dunque deve essere esplicitato in forma scritta e siglato da entrambe le parti.

Tutto ciò che lo riguarda deve essere contenuto in una clausola del contratto di assunzione.

In particolare nella clausola dovranno essere indicate con precisione le mansioni affidate al lavoratore in questo patto di prova.

I compiti ben delineati già in sede di contratto sono utili ad entrambe le parti, al fine di una valutazione proprio della qualità dei compiti svolti e di un’eventuale recessione.

Cosa accade se le mansioni da svolgere non vengono indicate nei dettagli o non vengono per niente indicate?

Avviene che il datore di lavoro dovrà assumere in via definitiva il lavoratore, a prescindere da quali attività avrebbe dovuto svolgere, e che quindi la sottoscrizione del patto di prova venga annullata.

Occorre quindi prestare molta attenzione.

Come vengono stabilite le mansioni

Se ora ti stai chiedendo in che modo debbano essere indicate le mansioni da svolgere (l’oggetto del periodo di prova) ti dico che dovrai rifarti alle classificazioni messe a disposizioni dai contratti collettivi, in merito a categorie, qualifiche e livelli professionali.

Le indicazioni dovranno essere molto specifiche e dettagliate.

In quali casi si può recedere dal periodo di prova

Subito dopo il termine del periodo di prova sia il lavoratore che il datore di lavoro possono scegliere di non procedere all’assunzione definitiva.

Va detto che, una volta assunto in maniera definitiva un dipendente, non potranno più essere effettuati altri patti di prova.

Cosa succede però se una o entrambe le parti desiderano recedere dal periodo di prova DURANTE il suo svolgimento?

Possono farlo senza alcun problema, a meno che non abbiano stabilito una durata minima: un lasso di tempo cioè sotto il quale non ci si può svincolare.

Il recesso, a differenza dell’avvio del periodo di prova, non ha necessità di essere comunicato in forma scritta, così come non occorre un preavviso: basta che lavoratore e datore di lavoro si parlino e si comunichino le relative decisioni.

Questo se entrambe le parti hanno rispettato un codice di comportamento corretto.

In caso contrario, invece, è possibile che il lavoratore che recede dal periodo di prova debba risarcire l’imprenditore.

Tuttavia il datore di lavoro dovrà sempre motivare il recesso (o licenziamento) dal periodo di prova in maniera dettagliata e sempre con coerenza in base alle clausole del contratto.

La prossima volta approfondiremo questo aspetto del periodo di prova.

Tutte le parti sono libere di recedere, purché non abbiano stabilito una durata minima

Ribadiamo il concetto che sia il datore di lavoro che il lavoratore in prova possono recedere quando vogliono da questo accordo se i risultati non sono soddisfacenti.

A patto però che essi non abbiano fissato un limite, una durata minima del periodo di prova.

In questo caso occorre necessariamente attendere il termine del patto di prova.

Se proprio non ci si riesce (per incompatibilità manifesta delle parti, ad esempio), allora colui che intende sciogliere prima il patto (imprenditore o lavoratore in prova) dovrà dimostrare la giusta causa per cui si chiede il recesso, altrimenti dovrà procedere con un risarcimento danni, soprattutto se il lavoratore dimissionario non giustifica adeguatamente la sua decisione.

Quando il datore di lavoro può licenziare il lavoratore in prova e in che modo

L’imprenditore o datore di lavoro può dunque licenziare il lavoratore in prova prima che quest’ultima termini.

Vi possono però essere dei limiti diversi da quelli della scadenza del patto firmato.

E ciò è attinente alla perfetta aderenza con la causa del contratto.

In quanto datore di lavoro, in pratica, bisogna motivare la decisione nei minimi dettagli, non distaccandosi mai dalla tematica del lavoro e dalle mansioni da svolgere.

In caso contrario il lavoratore potrebbe contestare una motivazione non attinente e non lecita e procedere all’impugnazione del licenziamento.

In questo caso specifico, inoltre, il lavoratore può impugnare il licenziamento anche oltre il termine dei 60 giorni previsto per legge in tutte le altre situazioni lavorative.

Il termine del recesso viene dunque stabilito proprio per tutelare il datore di lavoro.

Tutto ciò è stato determinato da una sentenza della Corte di Cassazione, e precisamente la n. 402 del 17 gennaio 1998.

Richiamandosi a sentenze di molti anni prima (emesse dalla Corte Costituzionale nel 1980) dunque, la Corte Suprema ha ribadito la necessità di non poter licenziare il lavoratore in prova per un motivo estraneo alle mansioni del lavoro stesso.

Attenzione alla nullità del patto di prova

Come datore di lavoro occorre prestare molta attenzione inoltre all’eventuale nullità del patto di prova.

In caso di sussistenza di questa condizione, infatti, l’imprenditore potrebbe pensare che stia licenziando seguendo la validità del patto in corso, quando invece non è così.

In caso di patto nullo cosa fare, allora?

Il licenziamento viene inquadrato come licenziamento ordinario, con la conseguenza di seguire le regole che vengono stabilite proprio per questa specifica tipologia giurisprudenziale di termine di rapporti lavorativi.

Poche parole, infine, su ciò che riguarda un patto di prova valido ma con recesso illegittimo. In questa situazione gli orientamenti della Giurisprudenza sembrano propendere per due strade: o proseguire nel periodo di prova con pazienza, aspettando che termini, oppure procedere con il risarcimento del danno verso la parte ritenuta lesa.

Con il prossimo articolo inaugurererò la trattazione di un argomento che sta molto a cuore ai nostri lettori: il Covid e l’impatto che esso ha avuto sulle aziende. 

Lo farò per rispondere ai tanti dubbi dei titolari d’azienda relativamente alle varie casistiche che si possono venire a creare al riguardo. 

Continua a seguirmi per essere sempre informato sulle ultime news relative al mondo del lavoro d’impresa.

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