“Oh, ti giuro… io sono sempre sul pezzo, ma qui il fatturato non si muove. Non capisco cosa stia andando storto.”
Io e il mio cliente siamo seduti al bar di fianco al mio studio, ad Abano Terme.
Lui ha il caffè davanti da cinque minuti, ma è incollato al telefono.
Risponde a un vocale. Poi un altro.
Controlla il gruppo Clienti Gold, risponde con un pollice alzato.
Poi apre Fornitori che rompono — un nome geniale, a pensarci — e condivide una GIF di un gorilla che si batte il petto. O qualcosa del genere.
Io non parlo. Lo guardo.
Ogni frase che prova a dirmi è interrotta da un “..Aspetta un attimo che rispondo a questo..”
Non si accorge nemmeno che, mentre parla di clienti che non comprano, sta regalando il suo tempo gratis a mezzo mondo.
A clienti, fornitori, collaboratori, amici, cugini, il gruppo della scuola calcio, il tizio del consorzio, la parrucchiera della moglie.
A un certo punto lo fermo.
“Hai idea di quante ore al giorno stai su quel telefono?”
Ride. Davvero.
“Ma va là… sarà un’ora. Due al massimo, dai.”
Errore. Fatale. Perché so già il pentolone che scoprirò di lì a qualche secondo..
Gli chiedo di aprire le statistiche dell’iPhone.
Le apre.
Pausa.
5 ore e 43 minuti.
Quel giorno.
Gli leggo in faccia la tensione. Cerca una scusa.
“Eh ma io con questo ci lavoro, rispondo ai clienti, gestisco i collaboratori…”
Appunto.
Tu non stai lavorando. Stai reagendo.
Tu non stai creando valore. Stai tappando buchi.
Tu non stai guidando l’azienda. Stai facendo il centralinista.
E poi ti lamenti che i margini sono stretti, che non riesci a trovare tempo per “le cose importanti”, che vorresti fare marketing ma non riesci mai a sederti con calma.
Ma come puoi farlo, se sei ostaggio del primo bip che vibra in tasca?
Sai quanti imprenditori ho visto passare le giornate così?
Convinti di “lavorare tanto”.
Ma in realtà solo occupati.
In trappola.
In quella palude di micro-conversazioni, note vocali che non servono a niente, messaggi ridondanti, richieste che altri potrebbero gestire al posto tuo.
“Andrea.. se non rispondo subito, sembra che non ci sono…”
Sì. Sembra.
Sembra che tu sia impegnato.
Sembra che tu abbia una struttura.
Sembra che l’azienda non dipenda dal tuo pollice opponibile.
E questo è un bene.
Perché se tutto deve passare da te, tu non sei un imprenditore.
Sei un imbuto umano.
Un rallentatore. Un tappo. Un limite.
Ti fa sentire importante.
Ti fa sembrare “dentro le cose”.
Ti fa pensare di avere il controllo.
Ma il controllo vero non è rispondere in tempo reale.
È costruire sistemi che funzionano senza che tu debba rispondere a tutto.
È avere priorità. Gerarchie. Tempo difeso.
Sai quando mi rendo conto che sto parlando con un vero imprenditore?
Quando mi dice:
“Non rispondo subito. Ho degli slot precisi in cui leggo e smaltisco.”
O quando mi dice:
“Ho tolto le notifiche. Decido io quando guardare.”
Ecco, lì capisco che sto parlando con uno che ha scelto di fare il comandante, non il mozzo.
Ogni minuto che spendi a rispondere su WhatsApp è un minuto che non hai dedicato alla visione, alla strategia, alla crescita.
E non ti lamentare poi se la tua azienda è ferma, se sei tu l’unico a tenere insieme tutto, se sei sempre stanco e con la sensazione di non aver fatto abbastanza.
Perché la verità è che hai fatto troppo. Ma della cosa sbagliata.
Vuoi un consiglio? Fattibile, operativo, subito?
Te lo dico, però impegnati a farlo per almeno 7 giorni:
E guarda cosa succede.
Perché forse non ti serve un altro cliente.
Ti serve una giornata in cui sei davvero tu a decidere.
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