Ricordo ancora l’emozione del mio primo stipendio pagato.
Non quello ricevuto, quello dato.
Aver assunto una persona era il simbolo che ce la stavo facendo. Finalmente un aiuto, due mani in più, tempo liberato.
Nelle mie fantasie, io mi sarei occupato della strategia e lui dell’operatività.
La realtà è stata un disastro.
Passavo le giornate a guardarlo lavorare.
A correggergli le email.
A rifare i preventivi perché “mancava quel tocco in più”.
A spiegargli per la decima volta una procedura che, in fondo, “nessuno poteva fare bene come me”.
Non delegavo. Ispezionavo.
Un giorno, esasperato, mi ha detto una frase che non ho mai più dimenticato:
“Andrea, o ti fidi e mi lasci lavorare, o ti conviene licenziarmi e fare tutto tu. Perché così mi stai pagando per guardarti fare due lavori: il mio e il tuo”.
È stato come un pugno nello stomaco.
Aveva ragione.
Non avevo assunto un collaboratore. Avevo comprato un biglietto per uno spettatore pagato.
E il costo non era solo il suo stipendio. Il costo vero, enorme, era il valore del mio tempo che stavo bruciando per fare compiti che non mi spettavano, mentre nessuno si occupava di quello che solo io potevo fare: trovare il prossimo cliente, immaginare il prossimo prodotto, comandare.
Ogni volta che dici “faccio prima a farlo io”, stai firmando un assegno in bianco alla mediocrità.
Stai dicendo alla tua azienda: “La mia crescita come comandante vale meno di questa piccola cosa operativa”.
Il tuo ego, la tua convinzione di essere l’unico in grado di fare le cose “a modo”, è la palla al piede che impedisce alla tua impresa di correre.
Diventi tu il collo di bottiglia. L’ingranaggio più lento.
Il collaboratore più costoso di tutti.
Perché ogni ora che dedichi a un compito da 20 €, stai rubando un’ora al tuo lavoro da 200 €: la strategia, la visione, la vendita.
Immagina un grande Generale alla vigilia della battaglia decisiva.
Le sue truppe sono pronte, il morale è alto. Manca solo il piano d’attacco finale. I suoi luogotenenti entrano nella sua tenda per ricevere gli ordini.
E lo trovano lì, curvo su una mola, intento ad affilare le spade dei soldati semplici.
Con una concentrazione assoluta. Uno dei luogotenenti, preoccupato, gli chiede:
“Mio Generale, cosa fate? Abbiamo uomini che possono affilare le lame. Il nemico si sta muovendo, abbiamo bisogno della vostra strategia!”
Il Generale, senza alzare lo sguardo dalla lama, risponde:
“Nessuno affila una spada come me. La vittoria si nasconde nella perfezione di ogni singolo dettaglio”.
Il giorno dopo, il suo esercito scende in campo. Le spade sono perfette. Le più affilate mai viste. Brillano sotto il sole.
Ma l’esercito viene annientato.
Perché mentre il Generale era impegnato a perfezionare un compito delegabile, il comandante nemico era su una collina a studiare la mappa, a pianificare la manovra che avrebbe vinto la guerra.
Il tuo lavoro non è affilare le spade. È vincere la guerra.
Smettila di essere l’eroe che fa tutto. Inizia a essere il comandante che pensa a tutto.
L’eroe si esaurisce nel fare. Il comandante si esalta nel decidere.
Delega ogni singola cosa che non richieda la tua firma, la tua visione, la tua parola.
Anche se verrà fatta al 90% della tua perfezione.
Un compito fatto da un altro al 90% è infinitamente più produttivo di un compito fatto al 100% da te, che nel frattempo non stai comandando.
In posizione! 🌿🤚🌿
P.S.: Come sempre, la Lettera del Caesar della prossima settimana contiene un vantaggio competitivo.
O lo prendi tu, o lo regali al tuo concorrente.
A te la scelta. 😏
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