Leadership aziendale

Quanto conta oggi per un datore di lavoro?

Venerdì 9 luglio 2021

Con il mese di luglio inauguriamo la trattazione di un tema particolarmente caro ai dirigenti delle aziende, siano esse piccolissime, piccole o medie (non a caso il nostro blog si rivolge in particolare alle Pmi).

Parliamo della leadership aziendale, e cercheremo di capire quanto essa conti per un datore di lavoro.

Sappiamo che il lavoratore dipendente è il capitale umano più importante di cui può disporre un titolare d’azienda, ed è suo compito guidarlo, dirigerlo e renderlo autonomo.

Come fare?

Quali sono le principali competenze da possedere e quali potrebbero essere gli ostacoli su questo cammino?

Vediamolo insieme in questo articolo!

Cos'è la leadership aziendale e quali vantaggi comporta in un'azienda

Prima di scoprire quali sono le doti da sviluppare e le competenze da possedere per diventare un buon leader in azienda, cominciamo con l’individuare il concetto stesso di leadership.

Parliamo di leadership aziendale quando una persona, un datore di lavoro ma anche un dipendente di spicco e con particolari doti, riesce ad influenzare determinati comportamenti, modi di pensare e di agire, senza esercitare alcuna pressione.

Nessun atteggiamento da capo e despota, insomma.

Il leader aziendale, dotato di quella che viene definita anche “leadership diffusa” quindi, guida il suo gruppo, ne incoraggia l’autonomia a le motivazioni, spronando tutti a raggiungere obiettivi comuni e condivisi. 

Il vantaggio competitivo di un'azienda con leadership diffusa

I vantaggi che ne scaturiscono per l’azienda stessa sono tanti ed enormi.

Innanzitutto la qualità del lavoro viene mantenuta sempre alta (il che non è cosa di poco conto), e i risultati in termini di obiettivi vengono raggiunti più velocemente e in quantità maggiore (più obiettivi e migliori risultati, per essere concisi).

In secondo luogo le criticità che si presentano sul cammino dell’azienda vengono risolte in maniera più proficua e brillante, con un conseguente aumento della produttività dei dipendenti.

Ciò conduce ad un vero e proprio vantaggio competitivo per un’azienda sulle altre.

Cosa serve per conquistare la leadership aziendale

Come si arriva però a diventare leader in un’azienda e a determinare cambiamenti positivi per quest’ultima?

Nessuno nasce leader, è ovvio, anche se certe doti caratteriali e di indole possono aiutare.

In sostanza la leadership non è innata, ma può essere considerata una competenza da acquisire e da perfezionare via via nel tempo, raggiungendo diversi step e livelli.

Un datore di lavoro intelligente (e questo è un dato fondamentale) deve allora saper valorizzare le singole individualità dei dipendenti e sviluppare questo aspetto.

Due sono gli atteggiamenti mentali per arrivare a conquistare la leadership diffusa: 

  1. Superare la resistenza al cambiamento (comfort zone);
  2. Aprirsi alle innovazioni di ogni tipo.

Cosa ostacola la realizzazione della leadership aziendale o diffusa

Le due doti appena elencate rappresentano dunque la base da cui partire se si vuole davvero raggiungere la competenza di leadership.

Ciò conduce dritti dritti a quelli che sono gli ostacoli per questo obiettivo.

Un’indagine molto interessante realizzata recentemente sulle aziende dell’Europa Occidentale, ha portato fuori un dato su cui riflettere: i peggiori nemici dello sviluppo della leadership in azienda sono la resistenza al cambiamento (appunto), e quindi il non voler uscire dalla propria zona di comfort, e il concetto di azienda come gerarchia, con posizioni lavorative non interscambiabili, ma rigide e piramidali (il capo fa il capo e basta, il dipendente non può permettersi di dire la sua, etc.).

Infine, un altro ostacolo da superare è quello della chiusura all’innovazione e della cristallizzazione sulle proprie posizioni. 

Gli studi internazionali individuano sette competenze fondamentali per un leader

In questi ultimi anni sono stati portati avanti moltissimi studi di settore sulla leadership diffusa, a causa dell’esigenza di molti titolari di azienda di capire le tendenze delle risorse umane.

Diverse sono state allora le società internazionali che hanno commissionato dei sondaggi per capire quali possono essere i comportamenti virtuosi e le competenze che un buon leader debba possedere.

Per quanto riguarda i primi (i comportamenti virtuosi del leader) la maggior parte degli intervistati ai sondaggi ha risposto sull’incentivare lo sviluppo personale dei dipendenti.

Subito dopo, un altro comportamento ritenuto fondamentale per un leader è quello della valorizzazione delle diversità.

Segue il favorire la cooperazione, e la creazione di dinamiche basate sul digitale, in particolare per la life long learning. 

Le sette competenze chiave della leadership diffusa

Vi sono poi le competenze, grazie alle quali i comportamenti virtuosi possono essere messi in pratica. 

Per possedere la leadership diffusa occorrono 7 competenze chiave.

Eccole, elencate in ordine alfabetico, visto che devono essere possedute in uguale misura per arrivare a diventare un eccellente leader aziendale.

  • Adattabilità: una delle prime doti e competenze richieste ad un leader aziendale (sia esso capo o dipendente carismatico) è proprio quella di essere flessibili ed adattarsi a qualsiasi situazione, senza scomporsi. In questo modo sarà possibile anche individuare in maniera più agevole tutti i punti di forza di ciascun dipendente, valorizzandoli.
  • Agilità: il vero leader bandisce completamente gli atteggiamenti di rigidità. Non si cristallizza su una sola posizione, ma la sua mente è agile, consentendogli di gestire tutte le incertezze del momento e di cogliere immediatamente qualsiasi segnale di debolezza intorno a sé. 
  • Autenticità: da dimenticare il capo di una volta, figura inaccessibile e che incuteva timore in tutti i dipendenti. Oggi il leader d’azienda è autentico, non si nasconde ed è sempre disponibile con tutti.
  • Capacità di innovare: il leader aziendale contemporaneo incoraggia tutti i lavoratori a sperimentare nuove strade e promuove sempre l’autonomia di pensiero. Via perciò, i “gran capi” di un tempo, che pretendevano l’allineamento di opinione di tutti i dipendenti alle proprie idee. In questo modo si consentirà all’azienda di crescere, andando incontro anche alle innovazioni di tipo scientifico e digitale. 
  • Neuroleadership: si tratta di un concetto abbastanza complesso ma non difficile da applicare. In pratica un leader cerca di affinare le proprie competenze empatiche per comprendere in modo profondo le caratteristiche uniche di ciascun dipendente, che proprio perché uniche sono irripetibili e vanno incentivate e sviluppate. 
  • Umanizzazione: anche se ormai le realtà lavorative sono sempre più digitalizzate e nelle mani dell’innovazione, da questo punto di vista, non bisogna mai perdere di mira l’umanità delle persone. Sì dunque al progresso aziendale digitale, ma con al centro l’essere umano, che dovrà restare fermamente a guidare questa evoluzione.
  • Umiltà: una qualità e competenza senza la quale non si va da nessuna parte. Essere arroganti può infatti ripagare solo all’inizio, con l’effetto sorpresa, ma mettersi da parte quando è necessario, riconoscendo il talento e le capacità degli altri, senza cadere in atteggiamenti narcisistici, ripaga sempre e forse è il vero segreto della leadership diffusa.

Ritornano i valori che erano “passati di moda”: fiducia, cura delle persone, libertà

Non c’è dubbio che dal punto di vista anche degli assetti aziendali la pandemia abbia introdotto delle modifiche nei comportamenti, sia dei dipendenti che dei datori di lavoro.

Accanto quindi allo smartworking, la pandemia ha portato a riscoprire una leadership che dà valore alla libertà da concedere ad ogni lavoratore, purché quest’ultima venga gestita in maniera responsabile.

Va da sé che un buon leader, oggi, deve puntare molto anche sulla fiducia, da dare e da ricevere, per gestire al meglio un’azienda.

L'importanza delle “soft skills”: il capo non è più quello di una volta

Con il lavoro da casa dei dipendenti nella maggior parte delle aziende si è capito che un leader non è tale se non conduce al coinvolgimento dei lavoratori in un lavoro o un progetto da portare a termine, riempiendo il tutto di entusiasmo e creatività.

Senza quest’ultima, e la passione per quello che si fa, infatti, oltre alla voglia di mettersi in gioco, non si arriva da nessuna parte.

Ecco che dunque il concetto di controllo viene meno.

Un capo, un leader, deve fidarsi dei propri lavoratori, e deve delegare di più.

Diventa perciò importantissimo, per chi lavora come dipendente, ma soprattutto per chi gestisce un’azienda, il possedere le cosiddette soft skills.

Si tratta delle famose “competenze trasversali”.

Se non sai di cosa stiamo parlando, provo a spiegarti in altre parole di cosa si tratta.

Quando si assume una persona per un lavoro oggi il leader non guarda solo alle competenze classiche (cioè cosa sa fare questa persona) ma approfondisce quelli che sono gli aspetti della sua personalità.

In pratica, si tiene conto anche delle abitudini del dipendente fuori dal lavoro, delle sue capacità comunicative, di come interagisce con il gruppo, e così via.

Non conta più il ruolo rigido in azienda, quanto la capacità di adattarsi

Esperienza è la parola chiave per approfondire il concetto di leadership diffusa oggi.

Non conta più tanto, perciò, il ruolo che una persona detiene in un’azienda, quanto la capacità di questo individuo di sapersi adattare a svolgere più mansioni, anche diversissime tra loro, con flessibilità e competenza data dall’esperienza.

A questo proposito un atteggiamento chiave viene assunto dalla capacità di cooperare con il gruppo, di “fare squadra”, come si dice anche nei film americani.

Solo in questo modo il talento di un lavoratore (e di un leader) può venire davvero fuori.

Quello che possiamo dedurre da tutto questo, in ultima analisi, è che “nessuno può farcela da solo”.

Oggi più del passato la parola vincente è TEAM.

Non esiste più il pronome “IO”, che viene sostituito dal “NOI”, dalla collaborazione nel superare insieme le criticità e condividere tutti i successi ottenuti.

La prossima settimana ci concentreremo in maniera più approfondita sul concetto di soft skills e vedremo la differenza con le hard skills: tutte competenze che un leader deve possedere.

Cosa sono le “soft skills” e perché sono necessarie sia per un leader che per un dipendente modello

Le soft skills, come abbiamo già accennato, non sono altro che le competenze trasversali.

Parliamo cioè di competenze che non hanno strettamente a che fare con il lavoro richiesto, ma fanno parte delle abilità di una persona, anche al di fuori dell’attività lavorativa.

Capacità comunicative, quanto si sa stare tra la gente, quanto si rende in gruppo, come si interagisce con gli altri, che tipo di abitudini si possiede, e così via.

Ovviamente ogni datore di lavoro cercherà di capire quali competenze trasversali debba avere il suo dipendente ideale, così come uno stesso leader potrà essere diverso da un altro secondo le soft skills possedute. 

La differenza con le hard skills: le esperienze riconosciute in curriculum

Insieme alle soft skills (e in molti casi prima di queste ultime) vengono valutate anche le “hard skills”, che potremmo tradurre come le “esperienze in curriculum”, documentate ed attestate.

Laurea, corsi di specializzazione, master, esperienze lavorative pregresse, referenze.

Si tratta, come puoi ben notare, di attività che possono essere classificate molto chiaramente, ma che non possono essere apprese da tutti, perché richiedono percorsi specifici.

Le competenze trasversali, al contrario, non sono facilmente quantificabili ed elencabili, e neppure si possono dimostrare con un “pezzo di carta”.

Starà dunque al datore di lavoro avere fiuto ed investire in un lavoratore in cui crede: magari meno qualificato in curriculum ma più proattivo con la squadra. 

Ma cosa sono queste soft skills nella pratica?

Se ancora non ti è chiaro il concetto entriamo negli esempi pratici, e ci capiremo meglio.

Molto importanti sono, tra tutte per chi si occupa di vendite, le competenze legate alla comunicazione: capacità di ascolto attivo, di comprensione della comunicazione non verbale, empatia, rispondere con feedback adeguati.

Altre soft skills molto importanti sono quelle legate al lavoro di squadra: lavorare bene in team, collaborare, gestire bene il conflitto e mai crearlo, prendere delle decisioni anche in condizioni delicate, risolvere problemi.

Fondamentale, poi, quando si lavora in gruppo, avere dei dipendenti che sappiano mediare molto bene, disinnescando le bombe delle incomprensioni, sia tra colleghi, che tra dipendenti e datore di lavoro. 

Le doti personali che sono indice di leadership

Ci sono infine le doti personali che non vanno trascurate in un tipo di lavoro di impresa: creatività, fedeltà all’azienda, pazienza, autodisciplina, gestione efficace ed efficiente del tempo.

Tutte queste competenze trasversali possono essere inserite anche in curriculum, qualora le si possieda davvero (inventare certe doti è sempre molto rischioso alla prova dei fatti).

Va da sé che possedere queste soft skills conduca ad una leadership che non sia mai autoritaria ma sempre autorevole.