“Andrea, abbiamo bisogno di una spinta. Qualche consiglio per i dipendenti. Una mezza giornata di formazione, magari anche qualcosa sul marketing… ma semplice, eh. Loro non sono abituati.”
Così mi accoglie il titolare.
Azienda metalmeccanica, 30 dipendenti.
Capannone ordinato, reception sforzatamente “giovane”, clima da “ci proviamo”.
Ma bastano i primi dieci minuti di chiacchierata per capire che lì dentro non vogliono cambiare nulla.
Vogliono sentirsi dire che va tutto bene, con magari due o tre frasi motivazionali appese al muro.
“Basta che non ci crei malumori… già fanno fatica ad accettare le novità.”
“Le cose funzionano, eh, però ultimamente vediamo un po’ di calo.”
“Facciamo qualcosa che li carichi, che gli dia un po’ di voglia.”
Quello che cercano non è un consulente.
È un prestigiatore.
Uno che entra, fa due sorrisi, due lavagnate, li fa ridere, e poi se ne va lasciando tutto come prima.
Che non tocchi i nervi scoperti.
Che non apra cassetti scomodi.
Che non dica a nessuno che, magari, il vero problema è chi sta in alto.
(Spoiler: non faccio quel lavoro.. 🤷)
Nei giorni successivi mi studio l’azienda.
Guardo la struttura.
Analizzo i flussi.
Parlo con due impiegate che in dieci minuti mi dIcono più verità di quante ne abbia dette il titolare in due ore.
Faccio due conti.
Il problema è profondo.
Gira tutto attorno a una leadership debole, a una comunicazione passiva, e a un finto clima di benessere dove tutti fingono che vada bene “per non disturbare”.
Alla seconda riunione glielo dico.
“Non vi serve una formazione. Non vi serve un intervento motivazionale. Non vi serve neanche un consulente.”
“Vi serve una scossa. Una ristrutturazione mentale. E finché non c’è volontà reale di mettersi in discussione — dalla direzione in giù — io non ci metto piede.”
Silenzio.
Lui mi guarda. Ride nervosamente.
Poi cambia tono.
“Ma insomma… non è che le cose vadano male. Stiamo solo cercando di tenere l’ambiente sereno…”
E io, netto:
“Il problema non è l’ambiente.
È la paura di affrontare la verità.
E se questo è il clima, allora il mio lavoro qui è finito.
Io passo.”
Mi alzo. Stretta di mano cordiale, ma pesante come piombo.
Me ne vado lasciando un silenzio pieno. Un buco. Un punto interrogativo.
(Spoiler 2: lo so. La diplomazia non è mai stato il mio forte.. 🤷🤷)
Mi arriva un whatsapp.
È il titolare.
“Ciao Andrea.. […] Mi hai dato fastidio quel giorno. Ci hai messo davanti a cose che non volevamo vedere. Ma avevi ragione. Da allora abbiamo iniziato a rimettere mano a tutto. Hai avuto il coraggio che non abbiamo avuto noi. Grazie.”
Boom.
“Dire sempre “sì” ti fa sembrare disponibile. Dire “no”, quando serve, ti fa diventare una guida.”
Chi cerca qualcuno che li compiaccia, troverà sempre un fornitore.
Chi cerca qualcuno che gli sbatta in faccia la verità… troverà, se è fortunato, un Caesar.
E nel tempo, il mercato fa la selezione naturale.
I fornitori vengono usati e dimenticati.
Le guide vengono ascoltate e rispettate.
Anche se perdi il contratto.
Anche se esci a mani vuote.
Anche se ti guardano male.
Perché ogni “sì” detto per paura è una frustrazione che cresce.
È un lavoro che non ti rappresenta.
È un cliente che si trasformerà in un problema.
Molto francamente: oggi quell’azienda sta facendo un percorso con un altro consulente.
Non so come andrà.
So solo che il mio “no” ha lasciato il segno.
E tu?
Hai il coraggio di dire NO quando serve?
Oppure vendi ore, sorrisi e silenzi pur di non disturbare? 😏
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